"Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose e più lontano di quanto vedessero questi ultimi; non perché la nostra vista sia più acuta, o la nostra altezza ci avvantaggi, ma perché siamo sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo"

Bernardo di Chartres,1120

venerdì 30 gennaio 2015

Stretching equino

A volte capita di vedere cose che ti lasciano a bocca aperta.
Stamattina, mentre stavo pulendo il cavallo che dovevo montare, il suo vicino di posta si è dato una bella stirata .
Mi sono anche spaventata perchè mi sembrava un malore, che stesse per cadere, ma poi con la stessa estrema facilità con cui si è allungato indietro portando i posteriori completamente sotto di se e inclinando gli anteriori  a 40/45°, forse anche meno, abbassandosi così tanto che si poteva  montare da terra come per montare in bicicletta, come se i suoi 600 kg fossero 6 kg, è ritornato su bello dritto e fiero.
Non so se i cavalli lo fanno abitualmente ma io non l'avevo mai visto fare, non pensavo fosse possibile per una questione di equilibrio, di ripartizione dei pesi... quindi ne sono rimasta abbagliata!
Chissà se mi ricapiterà ancora di assistere ad un così bel spettacolo dal vivo... Peccato non aver avuto una macchina fotografica per immortalare quella magia, però l'immagine di ciò che ho avuto la fortuna di vedere è bene impressa nella mia testa e non la dimenticherò di certo!

Ho cercato nel web se ci fosse una foto di un cavallo in quella posizione ma non ho trovato nulla, la foto che più si avvicina come concetto è questa... un gatto che si stira... quante volte l'ho visto fare alla mia gatta ed anche al mio cane, ma vederlo fare al cavallo è emozionante!

Ecco ho trovato la foto di un puledro in stretching (però i posteriori erano molto più sotto!)


Probabilmente è una cosa normalissima e questo dimostra solo la mia incompenteza, però è bello riuscire ad emozionarsi come un bambino davanti un fiore che sboccia o la neve che cade...trallallà trallalà beata ingeniutà!

mercoledì 28 gennaio 2015

Il linguaggio degli occhi

Si dice che l'occhio sia lo specchio dell'anima, è una verità per molti esseri animali, compreso l'uomo, ma se osservi gli occhi del cavallo mai frase ti sembrerà più appropriata. 
Nel suo sguardo puoi leggere tutte le sue emozioni, ogni suo sentimento, dalla gioia alla tristezza, dall'amore all'odio, dalla paura alla serenità, dalla curiosità all'indifferenza.
I suoi occhi parlano, impariamo a comprenderli!



"Il livello di apertura delle palpebre, la direzione e l'intensità dello sguardo svelano una vastissima gamma di emozioni. Occhi bene aperti e attenti comunicano interesse o curiosità. Quando sono socchiusi, esprimono benessere e soddisfazione: il tuo cavallo assume questa espressione quando lo accarezzi, quando assapora il cibo o quando sta per addormentarsi. Se gli occhi sono sbarrati, rivelano il bianco o roteano nelle orbite, attenzione: il cavallo è spaventato o sta per attaccare."



sabato 24 gennaio 2015

Perle di saggezza

Scritto da Federigo Mazzuchelli come introduzione al suo libro "Scuola Equestre" (1805)

"Non senza grave danno de' ginnastici esercizj trovasi trascurata l'equitazione, e sopra tutto negletta quella diligente, ed opportuna educazione, la quale tende ad istruire il cavallo, uno de' doni migliori, che la natura generosa ha fatto all'umana società.
Somma lode, e tutta la nostra riconoscenza si meritarono certamente coloro, che i primi occupandosi di quest'essere singolare lo tolsero alla nativa selvatichezza , e lo resero utile, e dilettevole amico dell'uomo. Fatta si bella conquista le provide cure si rivolsero a perfezionarlo nel vigore , nella disciplina, e nell'istessa bellezza delle sue forme esteriori.

Le ubertose campagne furono da lui solcate. Le ricche merci passarono sul suo dorso alle lontane nazioni. La sua comparsa servì di miglior ornamento ai trionfi. La vittoria spesse volte fu opera del suo coraggio. La nostra salute istessa , ed un piacevole condimento de' nostri ozj noi li ripetiamo spesso dal grato officio, che egli ci presta. Inceppato talvolta il nostro spirito da pigre cure, e da lento torpore, quest'animale obbediente, veloce, ed elegante scuote i nostri sensi aggravati , riaccende in noi il genio lauguente , e risveglia l'attivita, senza cui intentate rimarrebbero anche le opere più utili, e luminose.

Non e dunque da riputarsi frivola, ed inopportuna quell'istruzione, che riguarda l'equitazione, e tende ad istruire coloro , che amano di occuparsene con molta fatica , e particolar cura , e che sensibili alle attrattive del bello , ed alla forza della verità seguono il genio dell'arti , e si arrendono con giubbilo alla ragione, la quale sa trattare, e coltivare l'opere della natura, mentre insegue il pregiudizio mostro difforme , e ributtante procreato dalla grossolana ignoranza , e dalla indolente pigrizia, madri feconde di errori infiniti. 

Dalla fisica conformazione di questo quadrupede, e dal suo sentimento morale si ricavano quelle regole, che stabiliscono i precetti della sua vera educazione, i quali tendono a formare ciò, che costituisce un vero cavallo da sella.
Sarà dunque necessario di conoscere preliminamente questa macchina animale dall'arte perfezionabile per farne una scelta opportuna, e per applicare opportunamente le discipline della istruzione.
Molta è la cognizione, che occorre per sapere scegliere nel numero vario, e confuso di questi esseri, mentre non ancora sviluppati dall'età in lor si celan le qualità ricercate, e mentre la natura rare volte prodiga de'suoi doni produce esseri cosi accurati, che degni siano della particolare, e studiata educazione, di cui qui trattasi, e che tende in singolar maniera a sviluppare, e perfezionare i talenti fisici, e morali con felicita disposti, e combinati.
L'oggetto proposto è di mettere la natura , e l'arte a gara, ed in concorso, perché presentino tutto ciò, che di più perfetto possasi da loro ottenere."







































Approfondimento:  Incitatus  Il cavallo di Caligola


Caligola fu il terzo imperatore romano e regnò dal 37 al 42 dc. Il suo vero nome da regnante era Gaio Cesare. Era noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione, diciamo pure che non aveva tutte le rotelle al posto giusto.
Aveva un attaccamento morboso verso il suo cavallo Incitaus che era uno stallone da corsa molto veloce, da questo il suo nome. Alla fine di ogni gara e con la vittoria in pugno, Caligola organizzava per lui una festa trionfale. Ad un certo punto della sua vita Caligola sentì il bisogno di avere un erede e si sposò con Cedonia. Pare che questa fu una scelta difficile in quanto il sovrano era fortemente indeciso se sposare la donna o il suo stesso cavallo, nella sua follia pensava forse che lo stallone potesse dargli il figlio desiderato... mah!
Dopo il matrimonio si convinse che il cavallo soffrisse per questa sua scelta e si sentisse da lui rifiutato, e per consolarlo gli fece costruire un palazzo accanto alla residenza reale. Incitatus aveva una camera da letto in marmo con una stuoia di paglia enorme per letto, che veniva cambiata ogni giorno, una mangiatoia d'avorio con un secchio d'oro per bere e le immagini di artisti famosi sulle pareti. Era avvolto in coperte di porpora regale e sfoggiava un gioiello tempestato di pietre preziose al collo. Aveva i suoi schiavi personali che provvedevano ad esaudire ogni suo capriccio.
Come se non bastassero queste assurde attenzioni verso il cavallo lo nominò anche Primo Cittadino di Roma e successivamente Senatore.
A questo si riferiva il Mazzuchelli con le sue parole "... con cui la stravolta immaginazione di Calligola, credè di onorare il suo cavallo..."

giovedì 22 gennaio 2015

Spettacolo Equestre


Lo spettacolo equestre ARRIVANO I NOSTRI andato in scena a Piazza del Popolo all'interno del cartellone del Carnevale Romano 2012.

sabato 17 gennaio 2015

Un po' di colore...

Uno dei miei blog preferiti che tratta di equitazione è sicuramente "L'assioma di l'Hotte". 
E' un sito ricco di contenuti interessanti, biografie di personaggi del passato, racconti di esperienze vissute e aneddoti divertenti. Insomma tanta buona cultura ma presentata con un tocco personale dell'autore, che sa aggiungere, anche agli argomenti più impegnativi, qualche nota umoristica, un po' di colore che rende la lettura più gustosa e piacevole.  Proprio qui, tempo fa, ho letto un curioso e divertente post riguardante la "Monta all'amazzone".


Riporto alcuni passaggi:

"Una delle più grosse puttanate dell'equitazione di tutti i tempi è la "monta all'amazzone".. personalmente  la reputo una delle tante forme di violenza che "abbiamo" fatto alle donne... Montare in quella maniera è contro la logica, contro la sicurezza, contro l'intelligenza; è una pratica: scomoda, pericolosa, asimmetrica e complicata... La sola giustificazione di questa stranezza, trova una sua ragione soltanto nel senso del possesso maschile nei confronti delle donne e nei pregiudizi di ordine sessuale che consideravano scandaloso per una donna stare a gambe aperte o mostrare financo le caviglie a maschi che non fossero il marito o "chi ne facesse le veci"... Quello che è innegabile è che la sessualità femminile è stata negata e mortificata per secoli dalla religione e dalla convenienza maschile a tenere imbrigliato questo loro sano istinto ... la donna era considerata una specie di fattrice necessaria per la prosecuzione della specie alla quale era negata la gioia dell'orgasmo... 
Torniamo alla monta all'amazzone e alla sella specifica della min***a, i puritani inventarono quest'attrezzo per evitare che le nostre ave assumessero pose sconce e facessero "cattivi pensieri", bene, il primo risultato è stato questo:


una "porno sella" con evidentissimo riferimento fallico, si corse ai ripari con questo risultato: 


i "falli" son diventati 3 con l'aggiunta di un chiaro riferimento alle "corna", tutto questo mentre le donne mongole o di altre culture non puritane, non pruriginose , continuavano allegramente a montare a cavalcioni.

Tutto questo perché ?

Perché "l'oscuro oggetto del desiderio" - in equitazione - si trova strategicamente dislocato in una posizione e con un contatto inequivocabile...

Questa maniera di montare fu imposto alle signore fino agli anni 30/40 del secolo scorso, ma già nel 1902, la signora Landenburg fondò - in America - una lega contro la monta all'amazzone che da allora cominciò a perdere la sua importanza  ed ormai un reperto archeologico testimone di un'altro sopruso subito dalle donne nel corso dei secoli...
le donne si son liberate da quel modo imbecille di andare a cavallo ed hanno assaporato la gioia di una  cavalcata fatta come si deve."



Mi è ritornata in mente questa piacevole lettura quando mi sono imbattuta in questo articolo di "Donna Moderna" on line:

"Una piacevole cavalcata"


Un altro dei metodi che veniva usato per "guarire le donne dall'isteria" nell'800 era quello di fare lunghe passeggiate a cavallo nei boschi. Poi sono arrivate l'elettricità e il vibratore, e per una piacevole cavalcata bastava un marchingegno casalingo come quello nell'illustrazione.

Non aggiungo commenti perché non credo siano necessari. Dico solo che anche questa è cultura e che come scrisse il grande Nuno Oliveira:

 "Bisogna sentire ed arrivare fino all'emozione!"

Grande rispetto per Oliveira che indubbiamente si riferiva a più profonde senzazioni ed emozioni e senza voler togliere nulla al grande valore di questa frase,  mi sia concessa questa personale interpretazione del pensiero che sembra calzare a pennello con l'argomento.
Una irriverente nota di colore  solo per accendere un sorriso...

martedì 13 gennaio 2015

Gli occhi del cavallo secondo La Guèrinière

Questo testo è tratto dal libro "Scuola di Cavalleria", parte prima, di De La Guèrinière.
In questo primo volume, il maestro tratta la "conoscenza del cavallo", indicando il nome e la descrizione delle parti esteriori del cavallo, con le loro bellezze e i loro difetti.


Degli occhi scrive:

"L' occhio è la più bella parte della testa del cavallo, ed è pur quella non meno difficile che necessaria a conoscersi. 

L' occhio dev'essere chiaro, vivo e ardito non troppo grosso né troppo piccolo , situato a filo e non in fuori della testa. Un cavallo con occhi grossi, e che escangli dalla testa ha comunemente l'aspetto tetro e stupido. Quelli poi che son forniti di occhi troppo piccoli ed incavati (detti occhi porcini) hanno lo sguardo tristo e spesso la vista cattiva.

Tali sono le generali osservazioni da farsi in primo luogo sopra gli occhi; egli è d'uopo in appresso esaminarli più minutamente: e per procedere con rigore e giudicarne saviamente, dovremo, se il cavallo è in luogo oscuro, condurlo in altro chiaro, e quindi osservare i suoi occhi l'un dopo l'altro, tenendoci da uno de' lati e non rimpetto ad esso. Non dobbiamo inoltre riguardarli al sole, anzi abbiasi la precauzione di porre la mano sopra l'occhio stesso per scemare il gran chiaro ed impedire la riflessione de' raggi . 

Le due parti dell'occhio da conoscersi essenzialmente, e da esaminarsi con maggior cura, sono la cornea lucida e la pupilla. 

La cornea lucida è la parte esterna dell'occhio, e la pupilla la parte interna, o sia il suo fondo.
Dalla esatta considerazione della cornea lucida dipende la perfetta conoscenza dell'occhio. Deve essa apparire chiara e trasparente in modo che possiamo rimirare la pupilla senza alcun impedimento: se poi questa parte è torbida e coperta l' avrem per indizio che il cavallo sia lunatico , vale a dire che vada di tempo in tempo soggetto a flussioni (nota 1) in quell'occhio, il quale in tal caso diviene più piccolo dell'altro, e quindi va a perdersi indubitatamente senza speranza di guarigione, poiché si disecca. Talvolta un occhio sembra più piccolo dell'altro, a motivo che la sua palpebra essendosi per un qualche accidente spaccata nel riunirsi rimane più stretta. Raramente però ciò accade ed è facile a non prendere errore, coll'osservare che l' occhio non sia né torbido né bruno. 

Egli arriva spesso, che un cavallo preso dal cimurro, o col cambiare i denti lattaiuoli , o col mettere gli scaglioni della mascella superiore, soggiaccia a tale intorbidamento di vista da supporlo cieco da un occhio, o da entrambi; col guarire però la ricupera, sebbene siensi dati più casi d'averla esso affatto perduta a motivo di questi accidenti. 

La pupilla, seconda parte dell'occhio, deve essere grande e larga , onde si possa distintamente osservare. 

Formasi talvolta nel fondo dell'occhio una macchia bianca, detta dragone (nota 2), la quale, avvegnachè piccolissima nel suo principio, giugne col tempo a coprire la pupilla, ed a privare irreparabilmente il cavallo della vista. 

E' difettoso parimenti l'occhio quando la sua pupilla è di un bianco verdastro e trasparente; viene allora indicato col nome di occhio fondo di bicchiere. Un cavallo in questo stato non è sempre cieco, corre però gran rischio di divenirlo. Quando il bianco supera il verdastro è detto occhio di pesce e rende il cavallo di aspetto traditore, e maligno ."


Nota 1 : definizione da treccani.it

flussióne s. f. [dal lat. fluxio -onis, der. di fluĕre «scorrere», supino fluxum]. –
Nella vecchia terminologia medica, nome dato a fenomeni congestizî a carattere accessionale o acuto; il termine è tuttora vivo nell’uso pop. per indicare fatti infiammatorî di vario genere, con afflusso di sangue o di altri umori in qualche parte del corpo.


Nota 2 : Dal libro "Scuola Equestre" di Federico Mazzuchelli:

"Il male del dragone, che è una specie di cateratta , incomincia con macchia bianca nell’ umor cristallino, la quale si dilata coll’addensarsi di questo umore, e della capsula, che lo rinchiude. La parte perde la qualità diafana: gli occhi diventano opachi , e velati da macchie irregolari.
...
Il male del dragone consiste nella opacità della lente cristallina, prodotta da macchie irregolari, e di diversi colori, le quali a poco a poco rendono opaca la lente; quindi la luce arrestata, non può giungere, alla retina , dove l’impressione per il veder si produce."

Altri post sull'occhio:
Il mondo con gli occhi del cavallo
Il linguaggio degli occhi 

domenica 11 gennaio 2015

Il mondo con gli occhi del cavallo


Il cavallo ha una visione del mondo che lo circonda differente da quella dell'uomo.
Questo perché i meravigliosi e affascinanti occhi del cavallo sono molto diversi dai nostri, lo sono sicuramente come grandezza, ma non è questo a generarne la differenza di visione, bensì la loro posizione laterale sulla testa.

Questa collocazione gli consente di avere un campo visivo orizzontale panoramico quasi totale. Riesce infatti a vedere frontalmente con una visione binoculare, lateralmente e posteriormente con una visione monoculare. Rimane solo un cono buio frontale di poche decine di centimetri, dovuto alla posizione arretrata degli occhi rispetto alla fronte, ed un arco cieco posteriore poco più ampio della larghezza della groppa del cavallo.
Frontalmente gli assi visivi dei due occhi si sovrappongono (quindi guarda con entrambi gli occhi = visione binoculare) formando un angolo di circa 70 gradi nel quale l'animale ha una visione simile a quella umana, tridimensionale, che gli permette di distinguere le profondità degli spazi, di vedere molto lontano e di mettere a fuoco i dettagli. 



Il campo visivo laterale è invece controllato dal singolo occhio (visione monoculare) che, avendo l'orbita rotante, consente di vedere un arco di spazio molto ampio (circa 140 gradi) permettendo di avere una buona visione posteriore. Ciascun occhio, in questo arco di spazio, ha una percezione visiva indipendente ma bidimensionale, cioè piatta, con pochi dettagli, senza profondità e non fornisce una precisa rilevazione delle distanze anche se riesce a cogliere bene ogni piccolo movimento (questo è il motivo per cui il cavallo a passeggio all'aperto in giornate ventose può essere più nervoso). Ciascun occhio quindi lavora in modo indipendente e trasmette dei segnali al cervello che non sono uguali a quelli inviati dall'altro occhio. Ecco perchè, soprattutto quando c'è qualcosa che spaventa il cavallo, è importante che egli possa osservare l'oggetto che gli crea ansia con entrambi gli occhi. Ci sono azioni che il cavaliere compie per abitudine solo a sinistra del cavallo, come montare o passeggiare tenendolo alla corda, che sarebbe però opportuno eseguire ad entrambi i fianchi dell'animale.
Rimane  un  cono cieco che ha origine frontalmente, all'incrocio dei due assi visivi laterali, e si apre con un angolo di circa 40 gradi lasciando scoperta la visione posteriore. Ciò significa che se il cavallo guarda un oggetto molto vicino, in zona frontale, egli non lo vede perchè questo ricade nel cono d'ombra. Inoltre il cavallo non è in grado di vedere cosa succede dietro a lui e per questa ragione  è necessario fare molta attenzione quando ci si avvicina a lui dal retro. In questo caso è sempre opportuno usare la voce per segnalare la nostra presenza. Per poter vedere un oggetto posto in queste zone d'ombra il cavallo gira la testa a destra o a sinistra per farlo rientrare nel campo visivo.

La posizione degli occhi influenza anche le capacità visive sul piano verticale: il cavallo è in grado di vedere avanti a sé e dove appoggia gli arti anteriori ma non può vedere a livello della propria fronte. Quindi il cavallo ha un buon controllo visivo di ciò che ha davanti a se solo se tiene il suo naso flesso oltre la verticale, in caso contrario riuscirebbe a vedere soltanto il terreno. Per guardare meglio lontano alza la testa, è questo uno dei motivi per cui è opportuno lasciare estendere l'incollatura durante un percorso ad ostacoli.

La parte colorata evidenzia il campo non visibile dal cavallo

Al buio vede meglio di quanto vede l'uomo ma la capacità di adattarsi alle variazioni di luce è molto più lenta, questo spiega la paura del cavallo ad entrare in un luogo poco illuminato, per esempio il trailer, e lo scarto o l'improvviso arresto arresto di fronte ad un raggio di sole.

Come la maggior parte dei mammiferi, il cavallo ha una visione dicromatica, cioè che utilizza i canali bianco-nero e giallo-blu, mentre gli esseri umani possiedono una visione tricromatica che aggiunge il canale rosso-verde. Questi animali quindi non sono in grado di percepire tutta la gamma dei colori visibili dall'uomo. Da ricerche effettuate, i colori che hanno prodotto maggiori reazioni avverse sono il giallo, il bianco, il blu e il nero, mentre il grigio e il verde sono più graditi, come il marrone e il rosso. 



le fonti:
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_81_allegato.pdf
http://www.cavallo2000.it/detail/com_il_mondo_visto_dagli_occhi_di_un_cavallo-id_1212.htm
http://www.bemavet.com/vedit/pagina.asp?pagina=1324
http://danielemarzoli.altervista.org/index_file/07%20-%20Come%20vediamo%20i%20colori.pdf
http://horseason.com/il-cavallo 

Altri post sull'occhio: 
Gli occhi del cavallo secondo La Guèrinière
Il linguaggio degli occhi

lunedì 5 gennaio 2015

Federico Caprilli


Federico Caprilli nacque a Livorno l'8 aprile del 1868, in un'agiata famiglia borghese. Fin da ragazzo dimostrò di avere un carattere fiero e ardimentoso.

A soli 13 anni, nel 1881, fu ammesso al Collegio Militare di Firenze. Inizia così la sua formazione militare.

Nel 1883 fu trasferito al nuovo Collegio Militare di Roma, dove risiedeva anche la sua famiglia.

Nel 1886, a 18 anni, riuscì ad entrare nell'Accademia militare di Modena come allievo nell'arma di cavalleria anche se rischiò di essere scartato a causa del suo fisico ritenuto non idoneo al servizio. Era alto un metro e ottantatré ma aveva un busto piuttosto lungo rispetto alle gambe.

Nel 1888, a 20 anni, fu nominato Sottotenente e fu mandato a frequentare il corso di equitazione alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Incredibilmente, sia a Modena che a Pinerolo, uscì dai corsi con un giudizio mediocre, nonostante la sua dimostrata passione e la voglia di imparare. Forse già sentiva avversione verso un sistema di equitazione che riteneva non adatto all'addestramento militare.
Terminati i corsi raggiunse il suo Reggimento a Saluzzo e libero di montare senza istruttore si sbizzarriva in lunghe galoppate in campagna. Cominciò a partecipare a gare ippiche, che consistevano i prove di salti in elevazione ed in estensione all'interno di recinti delimitati.

Il primo successo lo ottenne nel 1890, con un cavallo irlandese di nome Sfacciato, successivamente nel 1893, a Roma, vinse una gara di elevazione saltando un metro e 40 tra lo stupore degli spettatori.

Proprio grazie ai suoi successi sportivi, nel 1891, tornò a Pinerolo per frequentare il Corso Magistrale, dove lavorò agli ordini del famoso Cavalier Paderni. Quest'ultimo era un ex ufficiale assunto come istruttore civile di equitazione, era un cavaliere di campagna, montava non solo in maneggio ma anche all'aperto, praticando il sistema dell'equitazione di scuola. Caprilli apprezzò e ammirò il suo istruttore per il suo metodo e uscì dal corso Magistrale come secondo classificato.

Nel 1892, frequentò un corso di equitazione di campagna a Tor di Quinto. Si era diffusa la necessità di uscire dai maneggi e dai vecchi schemi di addestramento, di insegnare una equitazione più semplice, più adatta a percorrere la campagna e superare gli ostacoli naturali che si incontravano. In quegli anni, Caprilli lavorò senza tregua, montando moltissimi cavalli ogni giorno.

Nel 1894 diventò istruttore a Tor di Quinto. Già molte cose erano cambiate negli insegnamenti: il filetto aveva preso il posto del morso che rendeva i cavalli meno disponibili e ribelli, era cessata la prescrizione di dare l'aiuto, arretrare molto il busto e sostenere il cavallo quando stava per spiccare il salto, ritraendo le mani indietro. Si era capito che quel sistema era un martirio per la bocca e le reni del cavallo. 
 
Il salto prima di Caprilli

Perciò si cominciò a saltare tenendo le mani ferme e basse ma il busto ancora fortemente inclinato indietro. Ancora però il cavallo non era libero nell'incollatura, nella bocca e nelle reni e, sebbene in minor misura, era ancora soggetto a dolori . A causa di queste sofferenze i cavalli rifiutavano i salti o scartavano. Caprilli, aveva capito la causa di questi rifiuti e studiava quale fosse l'assetto migliore del cavaliere e la più giusta posizione delle mani allo scopo di eliminare ogni sofferenza al cavallo. Ne derivò la convinzione che il busto del cavaliere dovesse essere leggermente inclinato in avanti per alleggerire i posteriori, per non contrastare i naturali cambi di equilibrio del cavallo e per permettere alla mano di accompagnare agevolmente l'estensione dell'incollatura. 

Salto Caprilli

Nel 1896 fu trasferito a Nola nel Reggimento dei Lancieri di Milano, dove cominciò a far applicare i suoi concetti sull'equitazione. Antecedentemente le reclute dovevano montare con sella senza staffe perdendo così facilmente l'equilibrio e causando numerose cadute, mentre con Caprilli le staffe diventarono un elemento basilare per il corretto assetto del cavaliere. Secondo il metodo Caprilliano, durante il salto, il cavaliere deve uscire dal fondo della sella prendendo un appoggio fermo sulle staffe, che vanno accorciare e calzate tenendo il tallone basso, chinare il busto in avanti seguendo con le braccia l'estensione dell'incollatura. In questo modo il cavaliere si fonde con il cavallo e gli permette libertà di movimento, libertà indispensabile al cavallo per mantenere o ritrovare il naturale equilibrio in ogni situazione.

Nel 1898 il Reggimento si trasferì a Parma e qui Caprilli organizzò il primo campo ostacoli reggimentale in Italia e intensificò i suoi esperimenti.
Intanto, insieme ad un gruppo di abili cavalieri formatisi proprio a Parma, Caprilli primeggiava nei vari concorsi ippici in Italia.
Nello stesso anno vinse una gara di elevazione superando il metro e sessanta, con Bagongo, e nel 1901 ne vinse un'altra con Vecchio, superando il metro e ottantacinque.

Nel 1901 fu promosso Capitano in Genova Cavalleria e diventa un modello per la disciplina e l'addestramento equestre. Ormai i suoi principi si stavano diffondendo e il cedere le redini era un cardine della nuova equitazione.
Nello stesso anno la Rivista di Cavalleria pubblica nei numeri 1 e 2 il primo scritto di Caprilli “Per l'equitazione di campagna” e "Due altre parole sull'equitazione di campagna". E' una specie di manifesto nel quale il geniale innovatore condensa le sue idee rivoluzionarie in tema di equitazione militare, di insegnamento, di addestramento, di impiego del cavallo verso e sul salto. Nella storia dell'equitazione non è mai stato pubblicato alcunché di così innovativo rispetto alla pratica corrente. Tutto è nuovo, mai detto prima con tanta chiarezza e con tanta determinazione.
Da questo articolo deriva la bozza del nuovo Regolamento di esercizi per la cavalleria.

Nel 1902 partecipò al concorso ippico internazionale di Torino ma non conseguì il successo che avrebbe meritato. Fu il primo classificato tra i cavalieri italiani, vinse una gara di estensione superando i sei metri e cinquanta, ma non superò nell'elevazione un metro e settanta. Poco dopo, in una gara fuori concorso, batté il record mondiale superando i due metri e otto.
Sempre nel 1902 scrive per la Rivista di Cavalleria gli articoli "Sul nuovo regolamento d'equitazione"  e "Una replica"., nei quali riconosce i giusti  cambiamenti fatti al regolamento d'equitazione, come frutto di un lavoro comune atto a rendere più pratico e produttivo l'insegnamento, ma ribadisce l'importanza di semplificare ancora l'istruzione, di abolire il superfluo anche nelle parole.
Questi articoli, assieme agli altri due dell'anno precedente, sono gli unici scritti ufficiali del Caprilli.  Altri due articoli, uno sul concorso ippico di Roma del 1902, l'altro in cui parlava degli scopi che dovrebbero avere i concorsi ippici, scritto nel 1905, non vennero mai pubblicati dalla Rivista di Cavalleria, forse perchè avrebbero provocato troppe polemiche al tempo non desiderate. Tutti questi scritti di Caprilli, editi e inediti, assieme ad una dettagliatissima biografia sono contenuti nel libro "Caprilli: Vita e Scritti" (1906) scritto dal suo amico, nonchè allievo a Pinerolo, l'ufficiale Carlo Giubbilei.
Un bel libro che merita di essere letto!
Caprilli al concorso di Torino nel 1902

Nel 1904 fu trasferito a Pinerolo, dove formò schiere di brillanti cavalieri e valenti istruttori.

Nel 1905 ebbe l'incarico di addestrare un gruppo di ufficiali, italiani e stranieri, tra cui il Capitano Giubbilei. Il sistema di equitazione che egli insegnava era ormai perfezionato, era un istruttore molto pignolo ma anche molto paziente e garbato. Insisteva nel pretendere la giusta lunghezza della staffatura, i talloni bassi, le suole rivolte i fuori, la calzatura corretta delle staffe, la gamba naturalmente cadente, il busto inclinato in avanti e l'elasticità dei polsi per assecondare tutte le andature del cavallo mantenendo un appoggio leggero.

Nel 1906 si trasferì a Tor di Quinto per continuare il corso con i suoi allievi ufficiali cominciato l'anno precedente a Pinerolo.

Nel 1907 vinse a Roma il primo premio del primo campionato del cavallo d'arme disputato in Italia. Fu questo l'ultimo trionfo del grande cavaliere.
Nell'ottobre dello stesso anno tornò a Pinerolo per iniziare un nuovo corso ma il 5 Dicembre, trottando con un morello sulla neve per le vie di Pinerolo, improvvisamente cadde arrecandosi una tremenda frattura alla nuca. Perse conoscenza e morì il mattino del giorno seguente all'età di soli trentanove anni.

Sulla causa della sua morte furono fatte molte ipotesi: si parlò di un malore, le sue condizioni di salute negli ultimi mesi non erano ottimali tanto che aveva preparato anche un testamento, si parlò di un attentato organizzato da qualche marito tradito, Caprilli era un uomo estremanente affascinante e bello, corteggiatissimo dalle donne e non era propriamente insensibile ai piaceri così generosamente offerti..., ma forse semplicemente si trattò di una caduta accidentale, il cavallo, per qualche motivo, si spaventò e con un improvviso scarto lo disarcionò. Il vero motivo della sua caduta rimarrà per sempre un affascinante mistero...
Sta di fatto che il Capitano Caprilli è morto nel modo più romantico possibile per un cavaliere, a cavallo!

Caprilli con il suo sistema ha rivoluzionato la moderna equitazione: non è il cavallo a doversi adattare al cavaliere ma viceversa il cavaliere che si adatta al cavallo, non modificandone l'atteggiamento naturale né con pieghi, né con andature artificiali, ma piuttosto seguendolo nei movimenti senza infastidirlo, mantenendo un assetto fermo. 
Il grande rispetto per il cavallo è alla base di quello che fu chiamato ‘Sistema naturale di equitazione


Ha detto: "Per equitazione naturale s'intende quella equitazione che lascia al cavallo prendere il suo equilibrio naturale col nuovo peso del cavaliere e del pacchettaggio, rimanendo in una posizione naturale di collo e di testa. Base di questa equitazione è l'ottenere dal cavallo ch'esso faccia quanto gli si richiede, lasciandolo libero di usare i mezzi che reputerà necessari a compiere quello che da lui si esige, e che il cavaliere impieghi in maniera migliore perché i mezzi della cavalcatura non siano mai ostacolati"